mercoledì 21 gennaio 2009

Racconto in una notte

Iniziò tutto sette ore fa con l'idea di loro due insieme e la chiusura rapida del portatile preceduta solo da due parole: "Ti odio".
Distrutta nell'anima dalla sensazione di essere sempre stata trattata come un oggetto da bramare per poi gettare annoiati dopo poco... riprendere quando si sa che lo si sta perdendo per poi andare a giocare con altro... dopo poco.
Le lacrime falciavano la mia faccia che fissava la sua immagine riflessa nello specchio e piangeva per la tristezza che emanava l'alter-ego.
Seguirono urla soffocate, una sensazione di vuoto in gola, nel cuore e nello stomaco, mille pensieri intrecciati di ottimismo e pessimismo, amore universale e odio altrettanto universale.
Il telefono suovana. Silenzio. E di nuovo riprendeva a suonare nonostante i toni bassi. Era un suono fastidioso e penetrante che non si addiceva alla sofferenza dell'essere soli e abbandonati da ventiquattro anni.
Il tempo di cercare di riprendere la mia anima per qualche ora navigando qua e là in cerca di Karma-yoga e Yogananda e all'una il cellulare riprese a suonare.
Non ci volle tanto ad arrivare all'sms che affermava quanto ormai la nostra storia fosse logorata. Un chiaro segno di voler chiudere una relazione che forse non doveva nemmeno iniziare e che molto probabilmente si sarebbe dovuta fermare a prima del sesto mese.
Tutto questo mentre riprendeva a piovere. Un segno?
All'idea di finire questa pezza ormai consumata salivano l'angoscia e la speranza di parole d'amore, gesta da cavaliere senza macchia e senza paura -chiaro residuo di fiabe e cartoni Disney- e in contrapposizione un respiro di sollievo per aver messo fine ad una commedia che non faceva più nemmeno ridere. Regnava l'immagine di loro due insieme.
"Certo, meglio soli che male accompagnati."
"Certo, se si sono trovati meglio ora che dopo."
"Certo, tanto ora la mia vita si rimetterà subito in sesto, non noterò nessuna differenza."
"Certo, ora finirò per chiudermi in casa e non voler vedere nessuno."
"Certo, lui tromberà da subito come un riccio o si farà consolare da quella puttanella ossessionata e io me ne fregherò del mondo e non avrò rapporti per anni."
Arrivarono altri messaggi e ne mandai a mia volta ma l'unico messaggio che traspariva era mancanza di comunicazione e, non so che altro. Puttanate.
Nel silenzio di una mattinata cittadina si sentiva solo la pioggia sempre più forte e qualche mezzo che transitava di tanto in tanto ma poi solo il bip del cellulare che mi riportava alla realtà da storie di alieni dal naso -che non è un naso- sporgente, balene che si innamorano di capitani snob inglesi e lettere d'amore poco amorose... quelle un pò, sì, mi riportavano nel paradosso che stavo vivendo al momento.
Mi alzai dal letto, presi una schifosissima centos e mi diressi sul balcone della cucina.
Ci provai nuovamente mentre aspiravo veleno e guardavo il cielo torbido colmo di nuvole e il lampione in stile noir che brillava grazie all'acqua che cadeva imperterrita "Quando hai il primo autobus?" e le lacrime del cielo scendevano sempre più forti come per dirmi di rinunciare a questa sfida contro i mulini a vento, tanto non c'è più amore da nessuna parte ma solo un ego che non vuole essere abbandonato e tantomeno rimpiazzato. Come se i grandi romanzi rosa si basassero sull'egoismo, la paura di rinnovamento e della solitudine... che schifo.
Ma in fondo cosa c'era?
Ora vedo solo ipocrisia, masturbazione virtuale, cattiverie, routine e sempre meno voglia di continuare.
Nessun principe azzurro, nemmeno di un azzurrino sbiadito che mi correva incontro perchè "Qua diluvia. Il bus è alle sei ma non esco con questo tempo."
Eh sì, una grande storia d'amore! Si capisce.
E il mio povero ego che con fare truce e rassegnato continua a provare a farsi dire qualcosa che lo risollevi.
Ma quelle parole non arriveranno. O almeno non prima del pomeriggio... perchè dormire è importante e la pioggia può uccidere.

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